Scrivo un articolo. Lo cancello. Lo riprendo. Non mi piace: cestina.
Rivedi l’ultima frase, forse andava bene. No no, lascia perdere: cestina.
Cavolo stasera gioca l’Italia, devo scrivere qualcosa sulla gara? Sì, ma ci sono troppe cose, troppi pensieri, confusi: cestina.
Forse posso scrivere qualcosa giusto per riempire il vuoto, qualcosa che in realtà non sia né importante né veramente interessante. Si potrei: cestina.
Ieri giornata particolare per me e per quanto concerne la tecnologia: è iniziato il Google IO 2012 (con un mega keynote pieno di cose strafighe) e ho ricevuto, finalmente, il mio Raspberri Pi. Vomitavo essenza nerd da tutti i pori.
Tornando al primo punto, quello sul Google IO, ho potuto seguire in diretta streaming l’evento e godermi di tutte le nuove features di Android 4.1 nonchè i nuovi prodotti che mamma Google ha partorito, dal tablet Nexus 7, al social device Nexus Q fino al figherrimo Google Glass.
Nexus 7Nexus QSergey Brin e il Google Glass
Quello che però si cela dietro tutto questo orgasmo di tecnologia è un profondo senso di tristezza e impotenza. Partendo dal fatto che abitando in Italia (e, in generale, in Europa) la tecnologia a mia disposizione è decisamente limitata rispetto a oltreoceano, inoltre un appassionato di computer soffre all’incirca ogni 6 mesi quando, dando una rapida occhiata al proprio estratto conto, si accorge di non potersi permettere la nuova figata appena uscita. Perchè, alla fine, è proprio quello il problema: i soldi.
L’industria informatica sforna meraviglie e innovazioni tecnologiche con cadenza, più o meno, semestrale, rendendo il tuo device acquistato con tanto sudore già obsoleto dopo pochi mesi. I prezzi poi non aiutano dato che, solitamente, si tratta di spendere 300~500€ nella migliore delle ipotesi, per singolo device. Quando poi te ne vengono presentati 2 o 3 in contemporanea ecco che a 1000 euri ci arrivi in un batter d’occhio.
Molti dicono “Pff, che te ne fai di tutta quella tecnologia? Cosa spendi soldi per quelle robe?”. Bè, ognuno ha i suoi interessi: chi i libri, chi la musica, chi il bricolage. Io ho la tecnologia e, purtroppo, costa. E tanto.
Oggi ero in aula studio, come al solito col mio portatile e mi chiedevo “Ma se lasciassi qui tutto me lo porterebbero via?“.
Ho quindi iniziato a pensare a una serie di modi per non portarmi dietro il pc e non vedermelo rubato, quand’ecco che la mia mente deformata professionalmente ha partorito questa cosa malata che è Power Alarm.
Power Alarm non è nient’altro che un semplice script per Ubuntu (ma, teoricamente, dovrebbe andare con tutte le distro linux) che, una volta avviato, tiene sotto controllo l’alimentazione del portatile. Nel caso un ladro tenti di rubare l’incustodito computer, portandolo via dalla nostra postazione, questo dovrà per forza di cose rimuovere l’alimentazione e… TAC! Power Alarm inizia a suonare come un dannato quei cavolo di beep che sfracassano le palle a tutti.
Più nel dettaglio ecco cosa fa lo script:
Controlla se il programma “beep” sia installato (necessario per produrre il suono). Nel caso non lo fosse, installalo (solo su debian-based)
Controlla che “pcspkr” non sia nella blacklist. Nel caso lo fosse, beep non funzionerebbe.
Verifica che, al momento dell’avvio di Power Alarm, l’alimentazione sia attiva.
Nel caso l’alimentazione venga rimossa, suona all’impazzata.
Nel caso l’alimentazione venga riattaccata, interrompi il suono.
Di per sé lo script è davvero stupido e assolutamente NON a prova di ladro. Tuttavia è in grado di creare quel panico nel malintenzionato, quanto basta per fargli rimettere tutto a posto e andarsene a gambe levate. O almeno, questo è quello che spero.
In futuro vedrò di migliorare il tutto, considerando diverse distro per il supporto all’installazione di bee, rendendolo un po’ più sicuro e aggiungendo anche una serie di FAQ per l’utilizzo. Ma per ora, questo è quanto.
Se foste interessati a provarlo potete scaricarlo da qui (link dropbox). NON MI ASSUMO ALCUNA RESPONSABILITÀ SUGLI EFFETTI CHE QUESTO SCRIPT PUÒ AVERE SUL VOSTRO PC. LO STESSO È STATO TESTATO IN LOCALE ED È FUNZIONANTE MA, IN ALTRI AMBIENTI, POTREBBE COMPORTARSI IN MODO ANOMALO.
Ah, che gran bel periodo pieno di casini. La crisi, il calcioscomesse, il terremoto. Ecco, com’è classico in queste occasioni, saltano fuori curiose affermazioni e interessanti spunti di riflessione.
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Partiamo dal calcio, và, con i suoi mille problemi. Leggevo ieri sui siti sportivi titoli a caratteri cubitali con scritto “Monti vuole fermare il calcio per 2-3 anni“. Dato che oramai conosco i miei polli, sono andato a farmi un giro sull’ansa e sull’articolo al riguardo e leggo che il Presidente del Consiglio non ha affatto detto quello, esprimendo invece un invito personale a riflettere se questa fosse l’unica soluzione al problema, chiedendosi inoltre se fosse davvero sensato investire soldi pubblici nel risanamento di società calcistiche (fonte).
Ad Abete, il quale risponde che le squadre non ricevono soldi ma ne danno in tasse, vorrei invece ricordare, a titolo d’esempio, la storia dell’SS Lazio. Già due anni fa vi fu una causa (o comunque una diatriba) tra la società bianco-celeste e il CONI per l’affitto dello Stadio Olimpico di Roma inerente i pagamenti mancanti per 2 milioni di euro. Il CONI, all’insegna dell’allora definito “quieto vivere”, glieli abbuonò, evitando di riscuoterli. Ora, il CONI mi insegnate essere un organo statale, cioè nostro, mio e vostro in quanto cittadini italiani. Quindi la SS Lazio deve 2mln di euro a tutti noi che, invece che prenderceli (con tanto di interessi), glieli regaliamo… massì, tanto non ci servono. E questa storia si sta ripetendo pure quest’anno. Stesso importo, stessa risposta del CONI? Vedremo.
Non diciamo quindi che lo stato non mette soldi per i club più importanti, li mette eccome. Non voglio seguire l’idea di Monti di fermare il calcio, sarebbe un’idiozia controproducente. Però non stiamo neppure qui a sventolare la santità delle società.
Conclusa la parentesi “Monti vs Calcio“, vediamo un po’ questa curiosa idea di abolire la parata del 2 giugno reindirizzando i soldi a favore dei terremotati emiliani. Sono favorevole? Ni.
Che sia uno spreco di soldi credo sia cristallino. Soldati che in una parata militare sfilano per festeggiare una Repubblica che ripudia la guerra mi pare alquanto paradossale (cit.). Sarebbe stato sensato 6 mesi fa rifletterci e dire “bè, magari quest’anno per risparmiare facciamo un bel discorso del Presi a reti unificate che ci sciorina le stesse cose sulla Repubblica Italiana e magari vediamo di aprire musei o cose del genere per le famiglie che se ne vanno in giro nel weekend“. Ok, magari è un’idea povera, ma è proprio questo lo scopo.
È anche vero che proporre di abolire la parata 5 giorni prima della stessa significa risparmiare nulla, o comunque molto poco: i soldi sono già stati spesi e più di tanto non può essere recuperato. Ecco, sarebbe interessante se invece si dicesse che il prossimo anno verrà “ridimensionata”, almeno per dare un segno di impegno verso questo obiettivo.
Arrivati alla fine di questo articolo magari (ma magari no) vi sarete chiesti “Ma perchè, Poltro, ha parlato di calcio, terremoto e 2 giugno insieme?“. La risposta è una sola parola: populismo. Entrambe le vicende ne sono pesantemente affette. Ragionate prima di agire; pensate al perchè di alcune azioni prima sparare sentenze. Se poi rimarrete della stessa idea, quantomeno avete fatto lo sforzo di pensarci e non seguire la massa come pecoroni.
Vorrei dire che me lo ricordo chiaramente, ma non è del tutto vero. Certo, era estate, giugno inoltrato, e faceva caldo, molto caldo. La cosa però non mi toccava più di tanto. Poteva anche essere inverno, gelido, non sarebbe cambiato nulla. Forse solo l’atmosfera, ma niente di più.
Mi ricordo che si stava davvero bene, che poco mi importava di tutto e di tutti. Vivevo senza pensieri la mia estate, ascoltando canzoni dalle cuffie di un iPod. Forse era “Hey There Delilah” la canzone che diede il via, ma anche qui poco importa cosa stessi ascoltando, le canzoni si susseguivano ininterrottamente senza alcun controllo.
Credo anche di essermi addormentato a un certo punto, ero sul mio letto al piano di sotto. Saranno passati 2 anni da che mi sono trasferito in una più ampia soffitta di casa mia. Le finestre erano spalancate nel tentativo di far passare un poco di aria, fallendo miseramente. La stanza sembrava più bianca del solito, ma non era colpa del sole. c’era qualcos’altro lì, in quella stanza, qualcosa che ricordo chiaramente, ma che preferirei non ricordare.
Quello che c’era lì, inoltre, era il perfetto senso di pace e tranquillità che rendeva le mie giornate estive stupende, mentre ora mi trovo a dover riempire ogni buco della mia giornata con una qualsivoglia attività, dallo studio all’arbitraggio, all’ESN, alla lettura. Non posso permettermi un attimo di riflessione, un attimo come questo, senza sentire la mancanza di quella perfetta giornata estiva.
Vorrei dire che me lo ricordo chiaramente, ma non è del tutto vero. Certo, era estate, giugno inoltrato, e faceva caldo, molto caldo. La cosa però non mi toccava più di tanto. Poteva anche essere inverno, gelido, non sarebbe cambiato nulla. Forse solo l’atmosfera, ma niente di più.
Mi ricordo che si stava davvero bene, che poco mi importava di tutto e di tutti. Vivevo senza pensieri la mia estate, ascoltando canzoni dalle cuffie di un iPod. Forse era “Hey There Delilah” la canzone che diede il via, ma anche qui poco importa cosa stessi ascoltando, le canzoni si susseguivano ininterrottamente senza alcun controllo.
Credo anche di essermi addormentato a un certo punto, ero sul mio letto al piano di sotto. Saranno passati 2 anni da che mi sono trasferito in una più ampia soffitta di casa mia. Le finestre erano spalancate nel tentativo di far passare un poco di aria, fallendo miseramente. La stanza sembrava più bianca del solito, ma non era colpa del sole. c’era qualcos’altro lì, in quella stanza, qualcosa che ricordo chiaramente, ma che preferirei non ricordare.
Quello che c’era lì, inoltre, era il perfetto senso di pace e tranquillità che rendeva le mie giornate estive stupende, mentre ora mi trovo a dover riempire ogni buco della mia giornata con una qualsivoglia attività, dallo studio all’arbitraggio, all’ESN, alla lettura. Non posso permettermi un attimo di riflessione, un attimo come questo, senza sentire la mancanza di quella perfetta giornata estiva.
Nel caso la mia idea di diventare imperatore del mondo fallisse, e quindi tutti i benefici che un mio governo mondiale porterebbe all’intera umanità, dovrei valutare anche un’alternativa per per rendere migliore, almeno un po’, quello che oramai da tempo è difficile definire come Bel Paese.
Leggevo la lettera del ministro Profumo riguardante i fatti di Brindisi di ieri e mi è tornato alla mente tutto ciò che ho sempre pensato sull’educazione in Italia, un’educazione che dovrebbe essere alla base della nostra società, un’educazione in grado di formare non solo figure professionali ma, anche e soprattutto, cittadini.
Mi piacerebbe, nel mio bel mondo utopico fatto di unicorni parlanti, vedere la scuola insegnare ai bambini e ai ragazzi cosa è giusto e cosa è sbagliato. Lezioni di educazione civica in cui si dice che pagare le tasse è sì antipatico, ma serve a te e alla società. Insegnanti che trasmettono valori come responsabilità, correttezza, legalità. Formare le nuove generazioni ad un nuovo pensiero, quello di essere liberi di fare ciò che si vuole nei limiti imposti dalla libertà altrui (mi sfugge ora chi fosse il filosofo che lo diceva, era forse Popper? Verifcherò…).
L’educazione civica come materia scolastica già esiste, ma è a un livello tale per cui ai bambini rimane nella mente solo “guardate prima a sinistra poi a destra prima di attraversare la strada“, e molti di loro faticano a capire pure questo pensando, improvvisamente, di trovarsi nel Regno Unito.
Insomma, nel mio allegro mondo fatato, l’Italia è un Bel Paese in cui vivere, dove lasciare un’auto parcheggiata per strada a Napoli per più di 2 ore non è un rischio, dove gli imprenditori non si fanno il Porche con i soldi dell’azienda e lasciano in strada migliaia di lavoratori, un mondo in cui anche la futura generazione di politici sarà guidata dal bene comune e non della singola realtà, comunque tutelata; un mondo in cui uno non fa esplodere una bomba alla fermata del pullman di una scuola superiore ammazzando una sedicenne.
Ci sarebbe comunque l’influenza delle vecchie generazioni, genitori che insegneranno ai figli a fare i furbi, perchè è questo che siamo noi italiani, i furboni di turno che si compiacciono di non esser stati sgamati. “Oggi sono salito sul treno senza biglietto e il controllore non m’ha beccato. Ahahaha”
Con un’idea molto ottimista credo che, se davvero si incentivasse l’educazione civica e alla legalità nelle scuole, i nuovi italiani saranno comunque migliori. A piccoli passi ce la si può fare, basta solo dare il giusto avvio e forse credere, restando nella cultura ultra-cattolico-fasulla italiana, che avverrà un miracolo. Ma i miracoli bisogna anche volerli e impegnarsi per averli. Davvero gli italiani lo vogliono?
Sono un soddisfatto utente di Ubuntu da circa 6 anni, autunno del 2006 se non ricordo male. Da allora, attirato dall’etica del free software e dalla sua efficienza, ha deciso di mantenerlo su tutti i miei principali computer.
In sei anni molte cose sono cambiate, soprattutto in Ubuntu che ha radicalmente alterato il modo di presentare linux al pubblico, portandolo – a dire di Canonical – più vicino all’utente. Unity dovrebbe essere il cavallo di battaglia di questo obiettivo aziendale, nel tentativo di portare un’UI che sia innovativa ed efficiente.
Tra i vari blog che seguo c’è pure quello di Anonimoconiglio che, senza troppi peli sulla lingua, piglia allegramente per il culo Ubuntu, Canonical ed il loro fondatore. A parte la presa in giro, analizza anche in modo serio, se così lo si può definire, le vaccate che Ubuntu & co stanno facendo. Perchè di questo si tratta, vaccate. Una politica sempre più rivolta a trovare nuovi utenti e fonti di guadagno piuttosto che offrire un prodotto utile, funzionale e davvero free. Ubuntu, ahimè, si sta trasformando in una distro linux troppo importante da degenerare in una prettamente aziendale e lucrativa, antidemocratica e chiusa.
Ecco, non era questo che io volevo da linux e Ubuntu che, fino a poco fa, è sempre stata la migliore, a mio avviso, per usabilità e compatibilità. Dovrò trovare un’alternativa, un qualcosa di efficiente e valido, anche con software che non sia open – non sono qui a fare il fanatico Debian della situazione. Certo è che il prodotto che voglio una volta finita l’installazione pulita sia libero, modificabile e mio.
Non so, ho molti dubbi. Lasciare o no? Cambiare o continuare con la 12.04?
Dopo soli 5 giorni di lettura ho finito il libro Io Sono Leggenda (I Am Legend, 1954) di Richard Matheson, libro da cui hanno tratto ispirazione l’omonimo film del 2008 di Francis Lawrence con Will Smith, “L’ultimo uomo sulla terra” di Sidney Salkow e Ubaldo Ragona e “1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (The Omega Man)” di Boris Sagal.
Per chi avesse visto i film, la lettura posteriore del libro può solo essere piacevole e piena di sorprese dato che, in effetti, questi non hanno quasi nulla da spartire col libro, se non l’idea generale.
Il libro ti prende subito, Matheson riesce a descrivere molto bene la nuova Terra creatasi a seguito del contagio che ha trasformato tutta la popolazione in vampiri (sì, proprio come quelli di Twilight, solo che non brillano e non sono gay) e lascianto Robert Neville, protagonista, l’ultimo uomo sulla terra.
Quello che più ho apprezzato del libro è stata la capacità dell’autore di descrivere i sentimenti e i comportamenti che un uomo avrebbe di fronte a una situazione simile: la lotta per la sopravvivenza, la ricerca di motivazioni e stimoli per continuare a vivere, le necessità umane difficilmente placabili.
Matheson crea un ottimo intreccio, cercando di non lasciare nulla al caso (sebbene talvolta mi domando, ad esempio, come Neville possa ancora utilizzare acqua corrente), ma francamente poco mi importa di questi dettagli che passano decisamente in secondo piano rispetto a tutto il resto del romanzo che, concludendosi in un modo molto particolare e del tutto differente dai film, lascia il lettore – o quantomeno il sottoscritto – con un piacevole quesito sul senso e la razionalità della nostra società umana.
“C’è poco da parlare, stiamo godendo” (Antonio Conte, 5 maggio 2002)
Come 10 anni fa, me lo ricordo come fosse ieri… e in un certo senso era ieri. Inter battuto 4-2 e Juve vincente 2-0. Questa volta cambia qualcosa. Questa volta è la vittoria interista che regala, battendo il Milan, lo scudetto 2011/2012 alla Juventus. Pelle d’oca.
La Juventus è Campione d’Italia. E ora stiamo godendo.