Berlino-Amsterdam a/r

Uno dice “ma sì, sono a Berlino, in Germania. Facciamoci un giro per questa nazione“. Sempre invece si finisce con l’andare in altri stati, come se già ci si fosse annoiati di quello in cui si è ora.

Ecco che cogliendo le mie conoscenze in Olanda (ovvero Erwin, conosciuto in Erasmus lo scorso anno) decido di farmi un finesettimana nella capitale dei Paesi Bassi, meglio conosciuta come città in cui si fumano canne a go go Amsterdam.

Le due capitali, Berlino e Amsterdam, sono ben collegate con il treno. Decido quindi di affidarmi a un notturno in modo da guadagnare tempo e arrivare il mattino calmo e riposato. Già, proprio così. Riposato…

Mai più prenderò quel treno: uno schifo. Scomodo, sporco e in ritardo. La Trenitalia Experience offerta dalla D-Bahn. Ho passato il viaggio a guardarmi serie tv sull’iPod che di dormire neanche a parlarne su quei cosi scomodi che chiamano “sedili comfort“.

Arrivo ad Amsterdam alle 11.15 circa, in ritardo di 75 minuti. Mi rimborseranno il 25% del biglietto visto il ritardo superiore ai 60 minuti, l’unica nota positiva. Dopo aver impiegato altri 10 minuti buoni per trovare i miei amici, finalmente esco dalla stazione e vengo accolto da una città molto particolare.

Amsterdam mi piace molto, ha quello stile particolare di relax e semplicità che si ripropone in tutto il territorio Olandese. Un sacco di stranieri, lì per un solo motivo, affollano le strade, ma sinceramente non arrecavano alcun disturbo, forse proprio per quel singolo motivo.

Già, oggettivamente le strade erano pervase dall’odore di canna che, comunque, è sempre meglio dell’odore di sigaretta. Erwin mi diceva che la legge sta cambiando e che, pian piano, i Coffee Shop stanno diventando dei circoli privati in cui puoi entrare solo se sei iscritto come membro, altrimenti nada. Ma per ora la legge non è applicata ovunque.

Quello che invece proprio non riesco a farmi piacere sono le ragazze in vetrina. Zero, mi fanno ribrezzo, ma non perché abbia particolari idee conservatrici e radicali, quanto perché il fatto stesso mi disgusta. Ma vabbè, forse hanno trovato il modo di risolvere così il problema della prostituzione.

A parte questi luoghi stereotipati, ho potuto fare un giro in barca per i canali di Amsterdam. Molto interessanti le case galleggianti e il fatto di vedere i cartelli “divieto di parcheggio” in mezzo all’acqua.

Avrei voluto vedere molto di più, ma purtroppo il tempo era davvero poco. Bè, una buona scusa per tornarci in futuro e starci più a lungo.

Alle 19.30 prendo il mio treno per tornare a Berlino. Questa volta è una cuccetta, pulita e comoda. Arrivederci Amsterdam, mi hai affascinato. A presto.

Una giornata piena

Piena di cosa? Di sfighe, è ovvio!

Svegliatomi alle 9.30, nel mio primo sabato berlinese, decido che è la giornata giusta per andare in giro a caso per Berlino e vedere un po’ la città. Non che non l’abbia visitata già in passato, ma rinfrescare la memoria fa sempre bene. Inoltre alla fine di ottobre i miei hanno intenzione di farmi visita, quindi devo prepararmi su dove andare e cosa fare quando saranno qui.

La giornata inizia bene, con la nuova moka acquistata per 13,99€ al Real che non ha affatto deluso regalandomi un buon caffelatte. Mi metto a cercare un po’ i posti dove poter andare e decido che la destinazione è Postdamer platz, da cui poi mi muoverò più o meno a caso alla scoperta di luoghi interessanti.

Guardo fuori ed è nuvoloso. Decido quindi di lasciare a casa gli occhiali da sole “tanto cosa me li porto dietro a fare?“. Tempo di arrivare alla fermata della metro e il sole in tutta la sua magnificenza decide di togliermi qualche diottria dagli occhi. Eeee vai con la sfiga #1.

Vabbè, siamo in metro intanto, il sole non c’è. Devo cambiare a Yorckstrasse e prendere l’S-Bahn. Già, IO DEVO, non la metro. Ed ecco che il cambio se ne va, mentre una simpatica insegna luminosa con scritto “idiota” appare sulla mia fronte. E siamo alla sfiga #2.

Nessun problema comunque. Scendo alla successiva, torno indietro, cambio, e arrivo finalmente a Postdamer Platz, quella che definirei la Milano Porta Garibaldi di Berlino. Appena uscito si trova un pezzo del muro di Berlino e, naturalmente, non posso non fare una foto.

Dopo averla scattata ripongo il cellulare in tasca e mi dirigo verso il monumento all’olocauso. Per controllare l’ora tiro fuori il cellulare e mi accorgo che, per sbaglio, l’avevo spento. Non realizzo subito la cosa, devo aspettare il momento in cui mi chiede il codice PIN. “Porca va**a! E chi se lo ricorda il codice della sim tedesca?“. Sfiga #3.

Torno a casa per prendere il PIN, non mi fidavo a stare in giro per tutto il giorno senza un cellulare funzionante. Torna, trova il codice, “Mi serviranno gli occhiali da sole stavolta?” – nuvoloso – “Ma no…“, esco. Sole che acceca. Sfiga #4. Recidiva per giunta. E si torna a Postdamer Platz.

Girovago per la zona, su e giù per le strade. Vedo cose interessanti, ma solo di sfuggita. In fondo deve essere solo un’infarinatura di cosa posso trovare nella capitale tedesca. Passando dal Reichstag ed Alexander Platz, prendo il 100 e mi dirigo a Wittenberg Platz, dove decido di nutrirmi da KFC. Ecco, la cassiera si è dimenticata di darmi la cannuccia. Aspetta che entro a prende… SPLASH! La mia Fanta, per terra. Tutti i santi del paradiso dietro di me a chiedermi che cavolo fosse successo. Gli spiego che è una giornata un po’ di merda e che quella era la sfiga #5. Mi capiscono e se ne tornano dall’Altissimo.

Continua la mia camminata, caffè di Starbucks in mano e direzione Zoo per dare un’occhiata a prezzi e orari passando davanti a una sfilza di negozi. Alle 17 sono stanco e decido di tornare a casa. Metro U9, cambio con la U7 a Berlinerstrasse. Sono ancora recidivo e ignoro bellamente la fermata distratto da immagini idiote su internet. E siamo alla sfiga #6. Cercata, anche questa.

In tutto questo non so ancora che fare stasera. Dato che le uniche persone che conosco qui sono via (sfiga #7), devo inventarmi qualcosa da fare. Forse passerò la notte in un bar tracannando birra e dichiarando amore alla bella barista che, la mattina dopo, realizzerò essere in realtà un simpatico ufficiale di polizia che mi ha sbattuto in cella durante la notte. Sfiga #8?

Ich bin in Berlin

Come avrete già capito da quello che scrivo sui socialcosi, ieri mi sono trasferito a Berlino. Il perché? Semplicemente mi è stata data la possibilità di trascorrere il mio tirocinio qui e, visto che di fare le cose normali non se ne parla, ho deciso di accettare.

Ora mi vedo però costretto a contraddirmi un po’ e a tornare indietro sulla frase precedente. Perché se lo scorso anno, quando sono stato in Finlandia 4 mesi per l’Erasmus, ero super eccitato da questa nuova avventura, ora il fatto di vivere all’estero per altrettanto tempo mi pare una cosa davvero normale, all’ordine del giorno, che non vale neppure la pena di dire in giro. La decisione è stata rapidissima, un mese prima della partenza, nessun particolare ripensamento. Come se mi fossi trasferito da Lodi Vecchio a Cernusco sul Naviglio. Più o meno.

Bè, alcuni dettagli sul mio soggiorno: ora vivo nella regione sud-est di Berlino, denominata Neukolln (con i due punti da qualche parte). Mi raccontava Guglielmo, il responsabile del mio tirocinio, che è una zona in forte crescita che è stata rivalutata nel corso degli anni. Lo prendo per buono. Lavoro a quattro fermate di metro (U7) da casa, circa 15 minuti in tutto per essere a Weserstraße 21, in un coworking space dove posso accedere 24/7 e avere caffè illimitato. In pratica, se alle 4:21 di notte ho voglia di farmi un espresso e non trovo un bar aperto faccio prima ad andare lì e farmelo da solo, gratis per giunta.

Berlino è una città strana, o la ami o la odi, nessuna via di mezzo. Il ricordo che avevo da quando sono stato qui nel 2007 è un po’ offuscato, ma comunque positivo. Voglio aspettare ancora qualche tempo per avere un parere completo della città, quindi stay tuned. Arriveranno di sicuro nuove storie e tante foto. Ok che lavoro, ma il tempo libero ce l’ho pure io, che diamine!

Mi è comunque capitato spesso, troppo spesso, nelle scorse settimane, di pensare alla Finlandia e davvero un po’ mi manca, forse più di quello che potessi immaginare. Una scena mi ritorna in mente: io in università, con i miei amici, fino a tardi per un progetto sfociato in quattro chiacchere, 7 di sera circa. Fuori è buio e osservo il paesaggio scorrere mentre il bus mi riporta a casa. Stanco per la giornata mi tuffo sul letto e sorrido: sono a casa.

Una strana allergia a casa

Credo che alla fine sia proprio questo il punto, l’aver sviluppato una strana allergia a casa, al rimanere a casa, o quantomeno a ciò che reputo tale, quindi un po’ tutta l’area di Lodi comprensiva di persone a me vicine. Questa è casa, certo, ma sebbene sia accogliente e sicura, mi trovo ancora una volta a voler scegliere di lasciarla e andare via per un po’.

Questo po’ è quantificato in 4-5 mesi, ancora non so di preciso, e il dove è Berlino, capitale della Germania, città già visitata in passato con annesso pellegrinaggio allo stadio olimpico dove l’Italia di Lippi vinse i Mondiali di calcio 2006. Ma questa è decisamente un’altra storia.

Questa volta si va lì per lavorare, per trascorrere il periodo di tirocinio obbligatorio previsto dal mio corso di laurea. Sarà qualcosa inerente lo sviluppo web e affini, qualcosa che comunque avrei potuto fare anche qui, in una qualunque azienda italiana di sviluppo web. Perché allora sbattermi, fare sacrifici e complicarmi la vita per questo tirocinio che poteva essere un qualcosa di tranquillo dietro casa?

Come dicevo, io la vedo un po’ come una strana allergia a casa, alla monotonia e alla linearità che ho rimanendo qui. Non so che opportunità avrò nel mio futuro, magari dovrò stabilizzarmi per lungo tempo in un luogo a causa del mio lavoro, e inoltre ho passato 20 anni della mia vita qui nella pianura padana. Quindi ora, ma anche più avanti, voglio sfruttare tutte le possibilità che mi vengono offerte, se ci sono i presupposti, perché non potrei mai perdonarmi di essermi fatto sfuggire l’occasione di provare nuove esperienze, di conoscere altra gente e modi diversi di pensare, lavorare, vivere.

Non è solo per il tirocinio obbligatorio, per i 21 crediti che comporta. Non è neppure per l’importanza che questa esperienza avrà nel mio curriculum. È per me.