Google condannato

(Tratto da zeusnews.it)

Nel 2006, l’8 settembre, alcuni ragazzi pubblicarono su YouTube un video in cui maltrattavano un proprio compagno di scuola affetto dalla sindrome di Down.

Non appena la notizia si diffuse, montò la protesta finché il 6 novembre un utente privato e il Ministero dell’Interno, quasi contemporaneamente, chiesero a Google la rimozione del video, cosa che avvenne il giorno seguente.

A quel punto, però, era troppo tardi per fermare la macchina che s’era messa in moto. La famiglia del ragazzo vessato dai compagni aveva esposto querela, cui si erano aggiunti anche l’Associazione Vividown e il Comune di Milano, quali parti civili.

Per Google, tuttavia, sembrava che non sussistessero problemi seri: una direttiva europea del 2003, recepita dalla legge italiana, stabiliva che i provider non sono responsabili dei contenuti, a patto che cancellino i contenuti offensivi dietro segnalazione.

Stante tutto ciò, la condanna odierna ha colto di sorpresa non solo gli imputati, ma l’intera Rete. Non a caso il New York Times ha definito la sentenza “storica” per quello che riguarda la giurisprudenza di Internet.

David Drummond, George De Los Reyes e Peter Fleischer sono stati considerati responsabili per un video caricato da dei ragazzini – questi, sì, davvero responsabili non solo del video ma anche dei maltrattamenti – sulla piattaforma da loro gestita.

Il Tribunale di Milano, che ha emesso la sentenza, sembra credere che sia non solo auspicabile ma anche tecnicamente possibile censurare all’origine il materiale ospitato da una piattaforma di condivisione libera (beh, libera fino a oggi) come YouTube.

Se le difficoltà tecniche di un’impresa del genere sono evidenti per tutti (a eccezioni di quelli che dovrebbero vederle) le conseguenze per la libertà della Rete sono ancora più preoccupanti.

La sentenza sembra illudersi che il problema non sia la violenza al ragazzo, ma il video, dimenticando che la violenza ci sarebbe in ogni probabilità stata anche senza filmato (così come esisteva già prima che nascesse YouTube).

Nel periodo di tempo in cui il video è rimasto online i dirigenti di Google non sono stati consapevoli dalla sua esistenza – come avrebbero potuto? – finché qualcuno non ha avuto il buon senso di non limitarsi a scandalizzarsi per la sua presenza ma di segnalarlo come contenuto da rimuovere, cosa che è avvenuta.

È senz’altro significativo, poi, che a questo punto del processo i genitori del ragazzo maltrattato si siano da tempo dissociati dall’intera vicenda ritirando la querela.

Si erano resi conto che tutto il rumore creato dai vari attori non era finalizzato alla tutela della vittima, che anzi veniva “ulteriormente offesa e umiliata dai titoli e dalle immagini”, ma aveva probabilmente altri fini.

Stando a quanto è dato finora di sapere, la condanna si basa su un mancato rispetto delle norme sulla privacy da parte di Google, che avrebbe dovuto chiedere l’intervento del Garante prima di mettere online il video ritraente un “minore affetto da patologie”, come se la decisione di rendere visibili quelle scene fosse stata di Google e non dei quattro ragazzini (peraltro già condannati).

Per i dettagli, occorrerà aspettare che il giudice Oscar Magi depositi le motivazioni della sentenza, cosa che avverrà entro 90 giorni. Fortunatamente – secondo gli avvocati della difesa – è caduta l’accusa di diffamazione, altrimenti “l’obbligo di censura preventiva da parte degli hosting provider” sarebbe stato automaticamente sancito.

Resta comunque il problema della responsabilità attribuita a chi fornisce il mezzo di comunicazione, e non a chi lo usa.

E mentre all’estero – e non solo – si chiedono quale deriva censoria stia prendendo piede in Italia, è singolare come per la seconda volta in poco tempo qualcuno chieda di mettere il bavaglio a Internet.

“Se i siti come i blog, Facebook, Youtube vengono ritenuti responsabili del controllo di ogni video” – spiega Marco Pancini – “significherebbe la fine di Internet come oggi lo conosciamo, con tutte le conseguenze politiche e tecnologiche. Si tratta di principi per noi importanti, perciò continueremo a seguire i nostri colleghi in appello”.
Qui sotto la direttiva Europea sulla responsabilità del materiale pubblicato in internet:

Articolo 14

“Hosting”

  1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o

b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

  1. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.
  2. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, per un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa, in conformità agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore ponga fine ad una violazione o la impedisca nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime.

Articolo 15

Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza

  1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Gli Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della società dell’informazione siano tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati.

FONTE(tratto da): zeusnews.it

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