Un’Università che, tutto sommato…

“Bè, sarebbe un 22…”

“Scriva cazzo, scriva!”

Così si conclude il mio ultimo esame all’Università degli Studi di Milano. 3 anni iscritto al corso di Informatica, con alti e bassi. E tutto sommato, non è stato poi così brutto. Solo deludente.

Il corso di Informatica all’UniMi è quanto di più anacronistico si possa trovare. Una materia come l’informatica, che cambia, sia aggiorna e migliora ogni 6 mesi, insegnata come fossimo negli anni novanta, come se poi, usciti da qui, non si dovesse andare a lavorare e usare tecnologie recenti.

Perché studiare matematica su matematica, linguaggi a metà senza considerare aspetti più “raffinati” quali un’interfaccia grafica, e poi non fornire corsi su sviluppo web o applicazioni smartphone, significa non dare agli studenti ciò che davvero serve nella vita fuori dall’Università.

La nostra università forma laureati già arretrati nel momento stesso di uscire. Se ci si vuole aggiornare bisogna farlo da soli, cercando con le proprie manine in Google come si fa. Ma guai a dire a un professore di aggiornare i propri programmi anno per anno, troppo difficile. Guai a rimuovere corsi fuffa e sostituirli con insegnamenti seri e validi che ci possano rendere competitivi con il resto del mondo.

Noi impariamo a studiare, studiare e basta. Mai a fare. E per quanto sia utile e nobile fare ricerca, e da qui giustificare questo tipo di studio, tuttavia la formazione professionale deve essere garantita e garantita in modo ottimale, o ci si troverà ancora una volta ad avere una serie di laureati di carta.

L’Università Italiana, l’UniMi, fiore all’occhiello negli anni ’90 e 2000 per il mio Corso di Laurea, è stata una vera e propria delusione, evidenziatasi palesemente durante il mio Erasmus nel confronto con gli studenti stranieri. Ecco perché qui, dopo la laurea, non ci metterò più piede. E di certo non sorrido per questa mia scelta.

 

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